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Quando Rolex flirtava con il quarzo

Sono passati venti anni da quando l’ultimo Rolex alimentato a quarzo uscì dalla fabbrica, chiudendo le porte a una relazione apparentemente indifferente, in cui il brand non era mai diventato davvero un membro a pieno titolo del club della batteria.

Con il senno di poi, Rolex ha avuto ragione a essere diffidente nei confronti del quarzo, non impegnandosi mai completamente per la causa. Tuttavia, nell’arco di 25 anni ha prodotto parecchi orologi che sono ora molto ricercati e straordinari per la loro specifica estetica. Inequivocabilmente Rolex, certo, ma con quelle eleganti modifiche nel design che non erano utilizzate sui loro modelli meccanici.

Continuate a leggere per scoprire perché l’era del quarzo di Rolex ha regalato uno dei capitoli più interessanti nella sua storia lunga 113 anni…

Nasce un’alleanza

Negli anni ’60 del secolo scorso, un consorzio dei principali marchi di orologi svizzeri formò un’alleanza per produrre un movimento elettronico che contrastasse quello di Accutron di Bulova, la cui tecnologia a diapason aveva preso il posto del Model 500 di prima generazione di Hamilton.

Il consorzio, che si era definito “Centre Electronique Horloger” (CEH), sviluppò infine l’affidabile calibro Beta 21, alimentato a quarzo. Ma non prima che Seiko li superasse con il suo orologio Astron alimentato a quarzo.

Eppure, gli svizzeri si erano uniti per un inizio vivace nel mondo del quarzo. Quello che gli avrebbe dato un certo livello di protezione quando si fossero avventurati in questo coraggioso nuovo mondo orologiero dove i giapponesi erano molto all’avanguardia.

Ma Rolex, nonostante facesse parte del consorzio, sembrava riluttante ad abbracciare completamente questa tecnologia radicalmente nuova.

Incredibilmente, quando il Beta 21 fu pubblicamente svelato dalle 18 aziende a Basilea nel 1970, Rolex scelse di prendere le distanze dal progetto, preferendo mostrare in forma privata un prototipo di modello al quarzo a clienti che desiderassero vederlo.

Gli orologi al quarzo erano brutti?

Con grande sorpresa di Rolex, il ristretto numero di clienti che visionò il prototipo a Basilea apprezzò quanto visto, e poco dopo lanciò ufficialmente il suo Quartz Date (Rif. 5100) alimentato dal Beta 21 e presentato in oro giallo o bianco 18k.

Strano a dirsi, nonostante l’entusiasmo iniziale, l’orologio non fu un successo commerciale e fu prodotto solo in pochi pezzi (si stima tra i mille e i duemila) tra il 1970 e il 1972. Questa produzione limitata di orologi al quarzo divenne uno schema costante nei decenni successivi.

Parte del problema potrebbe essere stato il design.

Il presidente di Rolex dell’epoca, Andre Heiniger, succeduto al cofondatore Hans Wilsdorf, non avrebbe dato il suo consenso a un orologio al quarzo che assomigliava a un classico Rolex meccanico, da qui la cassa angolare e i motivi del bracciale diversi dai classici stili di Oyster, Jubilee e President.

Alcuni affermarono che fossero brutti, ma lasciamo a voi il giudizio finale.

Rolex fa una “Rexit”

Rolex si separò dal CEH nel 1972 ma non perché avesse casualmente respinto la minaccia della crisi del quarzo. Al contrario, la considerava una minaccia abbastanza seria per giustificare la creazione di un proprio movimento alimentato a batteria. Per quanto ne sappiamo, Rolex rifiutò di fare qualcosa di avventato, e gli ci vollero quindi cinque anni per creare internamente un calibro al quarzo che fosse soddisfacente.

In quel periodo, Heiniger potrebbe aver sperato che la popolarità del quarzo scemasse. Era convinto che una combinazione di ubiquità e accessibilità lo avrebbe banalizzato, allo stesso modo di come le TV e le radio sono ora una presenza profondamente ordinaria nelle case di ognuno.

Alla fine, ovviamente, aveva ragione. Ma Rolex agì ancora cautamente, tenendo un piede in due staffe. Heiniger pensava anche che i ricchi volessero qualcosa di esclusivo e meccanico al polso. L’idea di abbandonare gli orologi meccanici, come stavano facendo alcune aziende svizzere (è noto che Zenith provò a buttare via l’attrezzatura che produsse il loro movimento El Primero), era fuori questione.

Rolex presenta l’Oysterquartz

Nel 1977, durante uno dei decenni più movimentati che l’industria orologiera avesse mai visto, Rolex presentò l’Oysterquartz 5035, un calibro visibilmente più estetico del classico quarzo. Il 5035 aveva undici pietre preziose e finiture complete sui componenti, comprese le strisce di Ginevra, non che si potesse goderne la vista attraverso un fondello da esposizione, naturalmente, trattandosi di un Rolex.

L’atteggiamento di Rolex era molto del genere: “Se faremo movimenti al quarzo, li faremo al meglio delle nostre capacità”.

Il 5035 alimentò il Datejust Oysterquartz, mentre i modelli Day-Date Oysterquartz utilizzarono il calibro 5055. Furono prodotti altri prototipi al quarzo, più complessi, compreso un calibro per un calendario perpetuo, ma non ci fu mai una piena produzione.

Nei successivi 24 anni, fino al 2001, Rolex produsse questi modelli al quarzo in acciaio, oro giallo o bianco, o una combinazione a due toni di acciaio e oro, con alcuni rari modelli con quadranti, ghiere e bracciali decorati con pietre preziose, e loghi mediorientali.

Si stima che sul mercato siano stati introdotti solo 25.000 Oysterquartz, una media di soli 1.000 all’anno. Se si considera che negli anni ’70 e ’80 Rolex produceva tra i 350.000 e i 500.000 orologi all’anno, essi rappresentavano solo l’1% della loro produzione totale.

La fine della relazione

Rolex interruppe la produzione di orologi al quarzo nel 2001, ma essi continuarono ad essere presenti nei cataloghi Rolex fino al 2003. Curiosamente, questo era l’anno prima che l’azienda acquistasse la fabbrica Aegler, che ne produceva da anni i movimenti meccanici.

Era una chiara dichiarazione di intenti. Rolex stava finalmente recidendo i legami con il quarzo e si stava dedicando completamente al meccanico.

Si potrebbe persino avvertire il sollievo, e la voce spettrale di Andre Heiniger che dice “Ve l’avevo detto!”, mentre venivano firmate le carte del divorzio.

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